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L’endometriosi è una malattia ammantata di mistero, definita perciò “segreta” e “silenziosa”. Una malattia subdola, grave e invalidante che colpisce solo le donne.
In Italia circa tre milioni di donne sono affette da questa patologia, ma non esiste ancora un registro che confermi con esattezza i dati.
L’endometriosi è una malattia che si conosce poco, ed è spesso sottovalutata o confusa con altre patologie. Tra le regione più colpite da questo male c’è la Puglia, qui si riscontra una casistica molto elevata, ma anche una forte insufficienza di mezzi e di personale.
E’ una malattia cronica e complessa causata da “una presenza anomala del tessuto che riveste la parete interna dell’utero, cioè l’endometrio, in altri organi quali ovaie, tube, peritoneo, vagina, intestino, retto. Ciò provoca sanguinamenti interni, infiammazioni croniche e tessuto cicatriziale, aderenze ed infertilità. E dolori.”
I dolori sono di forte intensità nel 60% dei casi, e sono di vario tipo: dolore pelvico cronico, soprattutto durante il ciclo mestruale o durante l’ovulazione, dolore ovarico intermestruale, dolore all’evacuazione, dolori intestinali.
I dolori sono talmente lancinanti da essere invalidanti.
Posso testimoniarlo per esperienza diretta.
Ho sofferto di endometriosi da quando avevo 14 anni (una ragazzina che malediceva il fatto di essere nata donna per dover soffrire cosi tanto) sino ai 36 anni.
Un periodo lunghissimo, 20 anni di sofferenza profonda che hanno condizionato la mia vita sotto tutti gli aspetti: fisico, psicologico, lavorativo, sentimentale, sociale.
Come capita alla maggior parte delle giovani donne, che aspettano in media dieci anni prima di avere una diagnosi corretta, passando da un ginecologo all’altro,
anche io ho errato invano per anni tra vari ospedali (venivo ricoverata quasi ogni mese per fare antidolorifici in vena perché le pillole non riuscivano a calmare i dolori) e diversi studi medici in Puglia e in altre regioni d’Italia. E la cosa che più mi faceva rabbia era che spesso i ginecologi, incapaci di darmi una diagnosi precisa, si sentivano in diritto di dire “lei è troppo sensibile e la sua soglia del dolore è troppo bassa. Probabilmente sono dolori psichici e comunque legati a una normale dismenorrea o a delle cisti ovariche”.
Quante volte ho sentito questa frase, e quante volte avrei voluto che questi “Signori Dottori in Medicina” provassero sulla loro pelle il dolore che provavo io e tutti i dolori che provavano migliaia di ragazze come me.
Dolori difficili da spiegare. La mia sensazione era che avessi un coltello nell’addome e nella zona pelvica che veniva rigirato per ore in una ferita sanguinante. Senza tregua, senza momenti di calo. Un dolore persistente che toccava picchi sempre più alti e non scendeva mai, se non dopo massicce dosi di farmaci.
Ad ogni visita mi sentivo ferita, umiliata, derisa, oltraggiata da uomini (a volte anche donne) che non capivano di cosa stavo parlando e mi rispondevano “E’ normale. ”.
Era normale avere 15 giorni di dolori atroci ogni mese uniti a fortissime emorragie che mi costringevano a letto 24 ore su 24?
Era normale che non riuscissi a stare in piedi?
Era normale che in quei giorni mi assentassi a scuola e poi al lavoro?
Era normale cancellare impegni di concerti, periodi interi in cui dovevo rinunciare a cantare a insegnare, con danni lavorativi enormi? Era normale?
Era normale non poter fare nessuno sport con continuità?
Naturalmente non lo era.
Non era una vita normale. Era una vita fatta di 15 giorni al mese di sofferenza e con la continua angoscia di non poter fare progetti.
Eppure qualche progetto sono riuscita a realizzarlo, seppur in piccola parte rispetto a ciò che avrei potuto fare se la malattia mi fosse stata diagnosticata e curata per tempo.
Grazie alla mia forza e alla mia passione (alternati a periodi di sconforto e di fragilità), al mio amore per la vita e per la musica e grazie alla mia famiglia e alle pochissime persone che mi sono state vicine nei periodi più bui e più difficili, quelli in cui non si vedeva la luce in fondo al tunnel, oggi posso dire di essere “sopravvissuta”. E’ cosi che mi sento.
Perché dopo 15 anni di “odissea” e di “è normale” sono stata ricoverata e operata d’urgenza e ho rischiato la vita.
La “normalità” della mia “dismenorrea” aveva un altro nome: endometriosi.
La malattia era in stato talmente avanzato che aveva intaccato tutto: ovaie, utero, tube, intestino, vescica.
Ho subito un primo intervento in laparotomia; il chirurgo ha cercato di salvare il mio apparato riproduttivo. Invano.
Pochi mesi dopo ho subito un secondo intervento, di nuovo in laparotomia, questa volta demolitivo e altamente invasivo.
Cosi mi sono addormentata con due ovaie e un utero e mi sono risvegliata senza più nulla, a soli 36 anni.
Non è stato facile accettare l’idea di aver perso per sempre una parte cosi importante della mia femminilità. E ho impiegato i successi tre anni ad accettare tutto quello che mi era accaduto e che ancora mi accadeva: tiroide sballata, cure ormonali, aumento di peso. Una parte di Maria Grazia è morta in qui tre anni. Un’altra parte risorgeva faticosamente e un’altra ancora si trasformava.
La musica mi ha aiutata, in parte, a risollevarmi. Ma senza alcune persone fondamentali non ce l’avrei mai fatta. I miei genitori, prima di tutto, che ci sono stati, sempre. E poi un fondamentale sostegno di psicoterapia per affrontare tutti i miei dubbi e le mie domande.
Nel frattempo un turbinìo continuo di amici e affetti o presunti tali si avvicinavano e si allontanavano come onde del mare che lambiscono la riva e poi si ritraggono.
Quante volte mi sono ritrovata da sola sulla spiaggia della mia esistenza a chiedermi “Che succederà? E se la malattia tornasse?”
Lo spettro si riaffacciava di continuo. L’endometriosi è recidiva e pericolosa.
L’infiammazione e l’infezione causata dalle isole endometriosiche e la nascita di sempre nuovi “focolai di endometriosi” fanno espandere la malattia in tutto l’addome contaminando in rari casi anche i polmoni.
Ma alla fine delle mie tribolazioni in giro per l’Italia ho trovato sollievo a Verona, all’Ospedale di Negrar, altamente specializzato nelle malattie legate all’endometriosi e alle sue forme degenerative. Ho trovato medici che mi hanno curata e confortata e che mi hanno trattata come “paziente”, cioè come persona che patisce, che soffre. Ho trovato rispetto per la mia dignità di donna e, finalmente, la giusta comprensione del problema e del mio stato. E soprattutto ho trovato competenza, serietà e professionalità.
Oggi in Italia, c’è ancora molta ignoranza e disinformazione rispetto a questo argomento.
Qualcosa però sta cambiando, anche grazie alla legge n.18/2012 sull’endometriosi, la prima approvata in Friuli e a livello nazionale, che istituisce dal 2014 un osservatorio e registro regionale, e prevede momenti di formazione per i medici.
E’ importantissima una diagnosi precoce che permetta di controllare lo sviluppo della patologia limitando il più possibile le conseguenze sulla salute della donna.
E’ in atto una battaglia affinché finalmente lo Stato riconosca l’Endometriosi come malattia invalidante e come patologia.
E nei casi più gravi è necessario e deve essere garantito da parte dello stato, un adeguato sostegno psicologico.
Perché il fatto che l’endometriosi colpisce solo le donne non deve essere motivo di discriminazione.
E non è “una cosa da donne”. E’ un problema che riguarda tutto il tessuto sociale, a tutti i livelli.
Dopo anni in cui ho combattuto con me stessa perché avevo paura di raccontare quello che mi era accaduto, ho finalmente trovato il coraggio di parlarne e anzi, questa notte del 6 giugno 2014, di scriverne.
Affinché la mia esperienza e la mia testimonianza possano essere di aiuto e di conforto ad altre donne e alle ragazze giovani e giovanissime, che possono curarsi in tempo, evitando il peggio.
Perché quello che avete letto magari alcuni di voi non lo conoscevano. E la conoscenza è tutto.
Perché nessuno ne parla ed è giusto invece che se ne parli e che ci sia la massima informazione su questo argomento.
Perché nessuna donna deve sentirsi mai sola, né umiliata o derisa, di fronte a questo “mostro” silente e sconosciuto che si fa chiamare endometriosi.
Perché non ci deve essere pudore o vergogna quando si parla di endometriosi. Nessun tabù, nessuna paura. E’ una malattia e deve essere riconosciuta e curata.
Oggi vi ho donato una parte importante di me e della mia vita. Con amore.
La mia voce, che in musica canta di amori e di dolcezze estreme, oggi ha cantato il Dolore e la Speranza.
Maria Grazia Pani