La notizia dell’addio di Muti al Teatro dell’Opera di Roma rimbalza da una testata all’altra come una palla che scotta tirata da calciatori illustri e non. Ognuno si sente in dovere e in diritto di dire la sua, com’è giusto che sia. Il dibattito è sempre costruttivo. Giornalisti, critici musicali, cronisti, sindacalisti, musicisti, politici, fans del maestro Muti.
Il problema è che il dibattito in questione riguarda in ogni caso una ristretta cerchia di intenditori. E’ un dibattito tra addetti ai lavori .
L’opera lirica è ormai un fatto elitario, non solo in Italia e in Europa, ma nel mondo intero. Il linguaggio dell’opera non parla alla moltitudine dei giovani, non suscita sentimenti ed emozioni forti come un concerto di Musica Rock . I miti musicali odierni sono ben altri e lo dimostrano i video più cliccati su youtube. Perdonate il dissacrante paragone ma Violetta (baby icona pop della Disney) con oltre 8 milioni di visualizzazioni batte Muti che ne raggiunge al massimo 100.000. I giovani dai 14 ai 30 anni non guardano e non ascoltano il quartetto di Rigoletto ma il nuovo vincitore di X Factor e altri simili “Talent Show”.
Questo vale per la tutta la musica classica e d’opera tranne rarissime eccezioni: una per tutte Pavarotti, che con grande intelligenza si fece conoscere anche da quel pubblico che mai sarebbe andato ad ascoltare l’opera lirica . Pavarotti, oltre a una voce meravigliosa e dal timbro inconfondibile, era dotato di “particolare simpatia e comunicatività. La riuscita gestione della propria immagine mediatica è stata tale da influire sul consenso popolare alla musica operistica in generale, che Pavarotti ha tentato di rilanciare nella modernità, anche se il suo operato è stato altresì motivo di pesanti contestazioni.” (fonte Wikipedia) I “puristi” storsero il naso di fronte ad operazioni come “I tre tenori” e “Pavarotti and Friends” eppure Pavarotti riuscì a portare qualcosa del Belcanto a tutti, ma proprio tutti. E i suoi dischi hanno venduto oltre 100 milioni di copie in tutto il mondo.
“L’opera, alla fine del XX secolo, è diventata una specie di interesse di nicchia alla ricerca di fondi, attenzioni e pubblico in un ambito ricco di controproposte fieramente competitive, e non vi è alcuna ragione di pensare che possa ritornare al ruolo prioritario di un tempo.” (cit. Daniel Snowman ne “Il Palco d’oro”). Che lo si voglia accettare o no, l’opera lirica non ha più per la società il valore e l’importanza che ricopriva sino alla metà degli anni 60 del secolo scorso. Un profondo e radicale mutamento nel gusto e nella cultura dell’Europa e dell’America unito alle nuove proposte di intrattenimento, una per tutte il cinema, e poi il jazz, il rock, la musica leggera, i musei, le gallerie d’arte, il cabaret, i locali con musica dal vivo, lo shopping serale, i balli di gruppo! L’opera lirica è prigioniera della sua bella favola – “addio del passato bei sogni ridenti” – e non riesce ad interessare le nuove generazioni ormai da tempo.
L’italiano (ma anche l’americano) medio guarda in televisione programmi di quiz, di cucina, di taglio e cucito, televendite di oggetti e di sentimenti, telenovele e soap opera, fiction e polizieschi, talent e talk, tutto e il contrario di tutto. La musica classica non è contemplata e neppure la lirica (nonostante Rai 5).
Per non parlare del calcio che , come diceva Pasolini, “è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro.” E sempre Pasolini diceva “ci troviamo in mezzo a macerie di valori : valori umanistici e, quel che più importa, popolari. Il potere ha trasformato le coscienze istituendo nuovi valori alienanti e falsi, i valori del consumo.”
Il mondo della musica classica e dell’Opera Lirica non creano “prodotti di consumo” usa e getta. L’opera lirica e il canto prendono forma e vivono solo nell’esatto momento in cui si rappresentano. Non possono essere paragonati a un bene culturale come una scultura o un dipinto che esistono di per sé e possono essere goduti e apprezzati dal pubblico nei musei. Perché la musica e il canto hanno bisogno di “tramiti” per vivere e per essere “visibili” e udibili dagli spettatori. Hanno bisogno di muscoli, corde vocali, di cervello e di anima per “incarnarsi”. E hanno bisogno di luci, di scene, di costumi, di teatro. E quindi di soldi. Gli incassi di una sera di pienone in un teatro di 1.500 posti non bastano a coprire i costi di quella serata. Se il teatro d’opera non fosse stato supportato dallo Stato sarebbe morto da tempo. Grazie agli ingenti finanziamenti statali è riuscito a sopravvivere, ma al momento è agonizzante. Tutti gli Enti Lirici italiani attualmente versano in condizioni a dir poco vergognose: buchi di bilancio milionari e incapacità di gestione da Nord a Sud.
Buchi di milioni di euro. Ma come è possibile? Nonostante ingenti somme di denaro pubblico (ovvero le nostre tasse, i nostri soldi) vengano regolarmente versate nelle casse di questi “pachidermi” della lirica, mi chiedo come sia possibile questo continuo bilancio in rosso che accomuna realtà così diverse da un capo all’altro di questa povera Italia oramai affamata e in mezzo alla strada?
Perché mentre l’Italia è in piena deflazione e tocca punte di disoccupazione record (e a pagarne le conseguenze sono soprattutto i giovani tra i 20 e i 40 anni), con quasi 3,5 milioni di persone senza lavoro e sulla soglia della povertà, una parte del denaro pubblico, ovvero delle nostre tasse, viene distribuito, non proprio equamente, dai signori della casta politica per pagare, oltre i loro lautissimi stipendi in primis , gli stipendi di strutture ed Enti che vengono praticamente mantenuti dallo Stato. Tra questi ci sono gli Enti Lirici.
“Sarebbe ora che al Ministero e nei diversi enti pubblici si facesse chiarezza sul da farsi. Il costo del Teatro Lirico in Italia ha raggiunto livelli insostenibili. Il cachet di un grande direttore è proibitivo. Manca una direzione di politica culturale dello spettacolo che non controlla i finanziamenti erogati e la loro finalizzazione e non dà la giusta attenzione ai giovani e alle aree del Paese poco sviluppate. Sui giovani invece bisogna puntare e sulla forza lavoro disponibile , sulle nuove leve in uscita dai Conservatori, dalle Accademie di Belle Arti, dalle Università.” (Egidio Pani su La Gazzetta del Mezzogiorno)
Infatti mentre i teatri chiudono , chiudono le orchestre e i cori, i Conservatori di Musica continuano a sfornare nuovi musicisti e cantanti (spesso di ottimo livello) che una volta usciti non riescono a trovare lavoro né come artisti né come insegnanti perché è tutto saturo! E moltissimi di questi giovani lasciano l’Italia e si trasferiscono all’estero con la speranza di un’ occupazione. In due parole lo Stato italiano chiede ad uno studente soldi (tasse di iscrizione e frequenza) per frequentare l’Università o il Conservatorio soldi per i corsi di perfezionamento e i TFA. Lo studente alla conclusione del suo percorso di studio, (durato anni e sacrifici economici e non), di perfezionamento e di abilitazione si ritrova con un pezzo di carta in mano, senza più un soldo in tasca (le sue tasche e quelle della sua famiglia che ha investito sulla sua formazione), senza lavoro e senza nemmeno un assegno di disoccupazione o un reddito di cittadinanza. E senza nemmeno la possibilità di fare un tirocinio, magari retribuito al minimo, presso un Ente Lirico. Perché un Ente Lirico che percepisce milioni di euro dallo Stato dovrebbe dare in cambio qualcosa ai giovani. Anche solo una possibilità di mettersi alla prova. E questo sarebbe probabilmente possibile se l’Ente Lirico non avesse dei costi fissi altissimi e sino ad oggi inamovibili. A cominciare dallo stipendio dei Sovrintendenti, Direttori Artistici, Direttori Musicali, Direttori di Coro, Direttori Amministrativi, e altre figure di “Direttori” e vicedirettori, di assistenti e di assistiti che percepisce dagli 80.000 ai 120.000 euro all’anno a testa!! Praticamente più di un milione di euro all’anno solo per pagare gli stipendi di una decina di persone. Non vi sembra esagerato?
Anche questa è una “casta” (come quella politica) che sino ad oggi ha goduto di privilegi e di stipendi davvero esagerati.
In momenti di crisi come quello che stiamo vivendo come si può intascare stipendi simili pagati con soldi pubblici?
Se a tutto questo aggiungete gli stipendi (normali) di coro, orchestra, maschere (spesso sottopagate), custodi, addetti alla sicurezza e vigilanti, vigili del fuoco, impiegati, truccatori, attrezzisti, macchinisti. A questo aggiungete le spese vive degli allestimenti : scene, costumi, luci.
Se poi si aggiungono i cachet di direttori (anche 100.000 euro per una produzione), di cantanti (sempre gli stessi ormai in Italia) che vengono imposti dalle Agenzie a non meno di una certa cifra a recita, di registi esosi e spreconi con il loro stuolo di assistenti, e assistenti degli assistenti, ci rendiamo conto di come sia tutto un continua “assistenza” senza però una sussistenza.
Per risanare gli Enti Lirici e tentare di far risorgere l’Opera italiana ci vogliono prima dei soldi delle idee. Senza idee non c’è futuro e non c’è Storia. E ci vogliono persone capaci e oneste che sappiano razionalizzare le risorse a disposizione senza sprechi e senza privilegi , senza stipendi da capogiro e senza favoritismi.
Persone che sappiano programmare in modo saggio e oculato rispettando i preventivi di bilancio, che sappiano produrre a costi accessibili e sappiano replicare quella produzione per almeno 100 recite ( e non come accade oggi che messa in piedi un nuovo allestimento per esempio di Tosca se ne fanno dieci recite e si mette in cantina). Che sappiano alternare il grande repertorio con il repertorio di ricerca, con quello del 900 e con quello barocco. Persone che si mettano a tavolino per capire come costruire il pubblico di domani, come far appassionare i bambini e i ragazzi agli amori di Violetta e Alfredo, o di Adina e Nemorino.
Persone che siano capaci di riportare il pubblico a teatro. Perché come diceva Giuseppe Verdi “Il teatro è programmato per essere riempito, non per restare vuoto. E i resoconti del botteghino sono i soli veri documenti che misurano il successo o il fallimento. Se il pubblico arriva l’obbiettivo è raggiunto!”
Persone che diano spazio a quei giovani di talento musicisti, cantanti, scenografi, costumisti italiani creando per loro occasioni di crescita professionale e di lavoro, magari costituendo delle piccole compagnie a contratto all’interno delle quali i giovani farebbero la “gavetta” (che oggi non ti fa fare più nessuno a meno che non sei ricco e puoi permetterti di pagare costose Accademie) . Persone capaci di dialogare con i Conservatori, le Accademie di Belle Arti e le Università e di coinvolgerli attivamente. Persone che sappiano convincere i Grandi Direttori d’Orchestra che si può dirigere anche con un cachet dimezzato (Toscanini quando era all’apice del successo volle dirigere spesso per beneficenza non accettando alcun compenso) e magari con l’altra metà offrire delle borse di studio per giovani musicisti e cantanti. Non sarebbe bellissimo per un Artista che ha raggiunto il successo internazionale, la gloria, il riconoscimento e il benessere economico, poter donare qualcosa a dei giovani di talento che attualmente sono senza futuro? I giovani hanno bisogno di esempi di onestà ma anche di esempi di altruismo e di generosità.
Persone che siano capaci di mettersi seriamente al servizio della musica e della comunità, consapevoli dell’importante compito e della responsabilità che si assumono: l’educazione musicale della collettività e la tutela del Patrimonio Immateriale dell’Umanità, qual è l’opera lirica. ( I Cantori professionisti d’Italia portano avanti la candidatura presso l’Unesco)“ S’intende, per patrimonio culturale immateriale, l’insieme di pratiche, rappresentazioni, espressioni, conoscenze e i saperi che le comunità, i gruppi e, in alcuni casi, gli individui riconoscono come facenti parte del loro patrimonio culturale. Tale patrimonio culturale intangibile, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi interessati in conformità al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia, e fornisce loro un senso d’identità e continuità, promuovendo così il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana“.
L’Opera Italiana, immenso patrimonio immateriale dell’umanità, è moribonda nel paese dove essa è nata. Il problema è che l’Opera Lirica Italiana non venga più rappresentata in Italia. E che per vedere un Aida o una Traviata di qualità noi italiani dovremo prendere un aereo per una capitale europea o magari fare un viaggio a New York.
Molti giornalisti in questi giorni hanno citato Fellini e la sua Prova d’Orchestra a proposito delle questioni legate ai musicisti iper sindacalizzati che fanno scioperi selvaggi e bloccano intere produzioni con danno notevole per la collettività. Ma cosa c’entrano le proteste sindacali con la Musica? E non facciamo confronti ridicoli con realtà come quella austriaca o tedesca!
Cercate su youtube il video in cui Toscanini “mangia l’orchestra” ! Toscanini è infuriato, sdegnato e grida “Mi vergogno per voi!” . Chissà cosa avrebbe gridato oggi… E mentre scorrono le immagini dei professori d’orchestra in sciopero mi sovvengono le parole di Fellini “ Ma dove va la musica quando non suoni più?”. Quando tutto tacerà e l’Opera in Italia sarà morta e sepolta, una parte della nostra civiltà e della nostra identità sarà morta con lei. E la cosa peggiore è che nessuno lo saprà.